Gli esseri umani spendono molto tempo ricercando il significato del vivere e alla fine ognuno assegna una ragione ai propri giorni. Accade implicitamente, aleggia intorno ad azioni e decisioni, le uniforma senza deciderlo, nel tempo. È una coerenza che nell’insieme, nell’estensione degli anni, delinea quel che somiglia ad un senso. Una direzione dell’esistere.

Il mio drago dice che il senso dell’incarnazione è inciso nel corpo di ogni vivente, è il suo nome più autentico.

Somiglia alla forma scolpita nei monti dal passar delle epoche. A volte penso che se ricordassimo come si legge, forse noi umani troveremmo evidente lo scopo del nostro esistere. Ci apparirebbe unito a noi stessi e non esterno. Sarebbe congenito nella coscienza, non diverso da una mano o un polmone, allora ci basterebbe osservarci per sapere ogni cosa. Come le altre creature della Terra.

Eppure ogni cosa della Terra si trasforma. Il mio corpo non è lo stesso di quando ero bambina. Quando mi innamoro gli occhi mi brillano. Quando respiro male la pelle è opaca. Quando sono felice il cuore batte forte e in profondità. Le malattie, le abitudini, le emozioni: tutto cambia la materia. Il mio sistema immunitario è unico nell’intera storia umana e si fa sempre più specifico con ogni esperienza. E quante volte ho creduto di sapere ogni cosa per scoprire poi di sbagliare? Ho immaginato il futuro come non è mai stato, ho fatto promesse sincere, che poi però non ho mantenuto.

Ho amato fino ad odiare per quanto soffrivo.

I capelli e le unghie crescono, i tratti del viso invecchiano, le cellule si rinnovano. Emozioni, legami, progetti e pensieri cambiano ben oltre il mio controllo. La mia volontà è debole, i miei mezzi ridicoli di fronte alla vita e al passare del tempo. Cosa accade al mio senso allora nel continuo mutare? Nel passare di età, abitudine e credo lo avverto nascosto, dietro i volti e i colori che cambiano. Anche il senso del vivere si trasforma, mi svela con semplicità il drago. Non è diverso dal resto. Eppure il suo nome è eterno, risuona immutabile.

Il mio drago afferma che i nomi sono parole magiche piene di potere.

Quelli comuni, quelli umani e degli dei, i nomi di sogni e leggende, dei popoli e delle specie terrestri. Assicura che il nome di ogni incarnazione non è mai casuale, ma un indizio prezioso. È la tessera di un mosaico disegnato attraverso forme e tempi distanti. A volte mi sussurra in segreto il nome autentico delle persone che incontro, per permettermi di raggiungerle senza far loro del male, con la forma giusta d’amore. Ogni tuo nome è una variazione armonica del suono originario da cui provieni, dice. Ti basta ascoltarlo per lasciarti cambiare senza paura di perderti. Sdraiati, dice poi, divieni roccia. Altrimenti non comprenderai, perché la prospettiva umana è troppo veloce. Così mi distendo a terra e lascio che il pensiero indugi sulla stanchezza. Presto orecchio alla pesantezza che mi scivola nelle vene e nei muscoli, che mi rallenta nel peso del corpo. Il respiro si fa regolare e le articolazioni si sciolgono qualche millimetro oltre la posizione usuale.

Dentro, come mi ha insegnato il drago, vado alla ricerca del ricordo delle montagne. Del suono sotto il loro nome, dell’essenza sotto la forma.

Da principio hanno un sentore vago, un’immagine di profili rocciosi, uno stagliarsi di vette invernali sotto le nubi. Poi però la consistenza dei monti diviene più interna, più astratta, dalla forma visibile si fa simile ad una vibrazione. Avverto la spinta che nasce dalla memoria ancestrale, che un poco alla volta vorrei scoprire. La assecondo con il fisico quando riesco, così da aderire ancor meglio al suolo e seguire con precisione il rettilineo del dorso, la curvatura della spina dorsale che lo attraversa. Le montagne si intrecciano alla mia posizione supina, si distendono sulla Terra. Sopra me c’è il cielo, sotto la profondità delle ere geologiche. Le costellazioni muovono passi sicuri oltre l’atmosfera, certe ed eterne. 

Fai risuonare il vento nel tuo respiro, dice il drago. Ascolta l’aria che ti attraversa e che erode la roccia, che modella il passare dei secoli. Così il mio corpo disteso riecheggia del vento che scava i canyon, le valli, i passi fra le cime. Il tempo diviene difficile da contare, l’unico orologio è il respiro e il suo fischiare. Sul corpo ho il passaggio dell’aria che muovo, lo avverto nelle conche del collo e nelle narici, sulle creste dei fianchi e sulle falangi, sulle clavicole e sui disegni della pelle. È così che il respiro comune modella ogni forma? Forse somigliano a donne adagiate le grandi catene montuose, agli occhi del cielo. Eppure qualcosa sta fermo. Nel girare celeste di stelle e pianeti, scorgo un punto fisso farsi evidente. È un angolo vuoto di buio e di cielo nella profondità dello spazio. È un punto al centro del petto dove passa il respiro senza muovere nulla. Nella rotazione del cielo e del tempo scopro un fulcro, lo sento e lo circoscrivo in me, nel mio plesso solare. È il centro immobile nel soffiare del vento, l’eterno nel mutar delle forme.

Qui c’è il tempio dove si canta il tuo suono, dice il drago. È la radice più antica di ogni tuo nome.


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